Colesterolo, statine e stili di vita: che relazioni hanno?

Il colesterolo alto non dà sintomi. Non provoca dolore, non altera l’aspetto fisico, non modifica il tono dell’umore. Eppure, per molte persone, è diventato il punto di svolta di una diagnosi improvvisa: un valore fuori dai limiti e, di conseguenza, una terapia farmacologica da iniziare. Nella maggior parte dei casi si tratta di statine, tra i farmaci più prescritti al mondo.
Ma cosa succede se quel numero, da solo, non basta a raccontare la salute di una persona? Se abbassare il colesterolo con un farmaco non fosse sempre la soluzione migliore, ma solo un modo veloce per agire su un parametro, senza risalire alle cause reali?
Negli ultimi anni si è fatto sempre più spazio un approccio critico verso la cosiddetta “medicina del colesterolo”, che vede nel valore ematico un indicatore utile, ma non necessariamente il nemico da combattere.
A proposito di questo tema la Medicina di Segnale e, in particolare, il suo fondatore Luca Speciani offrono un punto di vista innovativo.
Colesterolo alto: un rischio tra tanti, non una condanna
Per molto tempo il colesterolo è stato considerato il principale responsabile delle malattie cardiovascolari. I livelli elevati – in particolare del colesterolo LDL, spesso definito “cattivo” – sono stati messi in relazione con l’aterosclerosi e con un aumento del rischio di infarto e ictus. È su questa base che si è costruito il paradigma terapeutico che oggi conosciamo: se il colesterolo è alto, bisogna abbassarlo.
Luca Speciani contesta questa impostazione, partendo dai dati scientifici. Analizzando studi recenti, osserva come i dati epidemiologici mostrino una realtà più complessa. Il colesterolo è solo uno dei tanti fattori di rischio cardiovascolare e non sempre il più determinante. Fumo, ipertensione, diabete, obesità, sedentarietà e infiammazione cronica silente hanno un impatto ben più significativo nel determinare il rischio di eventi cardiovascolari gravi.
Nelle linee guida del rischio cardiovascolare (come la SCORE2), un colesterolo totale elevato in assenza di altri fattori viene considerato un rischio blando o nullo. Per esempio, una donna di 40 anni non fumatrice, anche con un colesterolo a 300, può presentare una probabilità molto bassa di sviluppare un evento cardiovascolare nei successivi dieci anni, mentre raddoppia se fuma.
Questo non significa ignorare i dati di laboratorio, ma piuttosto saperli collocare in un contesto clinico più ampio, che tenga conto dello stile di vita, dell’età, della storia familiare e dello stato infiammatorio generale dell’organismo.
Statine: efficaci per tutti, o solo in certi casi?
Il nucleo della critica di Speciani si concentra sull’uso – a suo dire smodato – di statine per ridurre i valori del colesterolo.
Le statine, infatti, sono tra i farmaci più utilizzati al mondo per ridurre i livelli di colesterolo LDL. Agiscono inibendo l’enzima HMG-CoA reduttasi, bloccando la sintesi endogena di colesterolo nel fegato.
Numerosi studi ne hanno confermato l’efficacia nella prevenzione secondaria, cioè nei pazienti che hanno già avuto un infarto, un ictus o un altro evento cardiovascolare importante. In questi casi, l’assunzione di statine si associa a una riduzione della mortalità e delle recidive.
Diverso è il discorso per la prevenzione primaria, cioè per le persone che non hanno mai avuto problemi cardiovascolari ma presentano valori elevati di colesterolo. In questi soggetti, il beneficio delle statine è più contenuto e deve essere valutato alla luce del rischio globale. Alcune meta-analisi parlano di una riduzione modesta del rischio assoluto: per evitare un singolo evento cardiovascolare, bisognerebbe trattare centinaia di pazienti per diversi anni.
Inoltre, l’uso prolungato di statine non è privo di effetti collaterali: dolore muscolare, stanchezza, aumento del rischio di diabete di tipo 2 e, in alcuni casi, alterazioni della memoria. La stessa FDA ha segnalato già dal 2012 la necessità di informare i pazienti sui potenziali rischi metabolici associati a questi farmaci.
La Medicina di Segnale sostiene che il colesterolo alto non è una patologia in sé, semmai il sintomo e come tale andrebbe investigato. Quando i livelli di colesterolo superano determinati limiti, possono esserci cause diverse, che vanno dalla predisposizione genetica allo stile di vita, a patologie come il diabete o l’ipotiroidismo.
Eliminare il sintomo tramite un farmaco, secondo la Medicina di Segnale, non solo è inutile, ma è dannoso: in primo luogo perché da un lato rischia di mascherare una condizione sottostante mai affrontata e dall’altro introduce nuovi effetti collaterali legati al farmaco stesso.
Questo non significa demonizzare le statine, ma riconoscere che non sono sempre la risposta giusta. Prescriverle solo sulla base di un valore ematico, senza un’adeguata valutazione del quadro clinico, rischia di trasformare un trattamento potenzialmente utile in una forma di medicina automatica e impersonale.
Stile di vita e prevenzione: un approccio spesso trascurato
Nella gestione dell’ipercolesterolemia, il primo intervento raccomandato anche dalle linee guida europee è il miglioramento dello stile di vita. Ma nella pratica quotidiana, questo passaggio fondamentale viene spesso saltato o trattato con superficialità. Di fronte a un valore di colesterolo elevato, la risposta più immediata sembra ancora essere la prescrizione di un farmaco.
Eppure, le evidenze scientifiche mostrano con chiarezza che una dieta equilibrata, l’attività fisica regolare e la riduzione dello stress possono influire in modo significativo sui livelli lipidici e sull’intero profilo cardiovascolare. Non si tratta solo di “abbassare il colesterolo”, ma di agire su più fronti: ridurre l’infiammazione di basso grado, migliorare la sensibilità insulinica, modulare la pressione arteriosa e riequilibrare il metabolismo in senso più ampio.
Anche l’alimentazione moderna ha un ruolo chiave: il consumo eccessivo di alimenti ultraprocessati, zuccheri semplici e grassi è correlato a un’aumentata incidenza di sindrome metabolica, obesità e diabete, tutte condizioni che pesano molto più del colesterolo alto nel determinare il rischio cardiovascolare.
In quest’ottica, il colesterolo può essere considerato una spia, non un nemico. Un segnale che qualcosa, nel nostro stile di vita o nella nostra fisiologia, sta chiedendo attenzione.
Secondo la Medicina di Segnale, è proprio da qui che dovrebbe partire ogni percorso di cura: dal recupero di un equilibrio fisiologico, prima ancora che dalla soppressione farmacologica di un parametro alterato.